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Bioedilizia: dall'Austria l'edificio a impatto zero

Quando si parla di fonti rinnovabili ci si domanda spesso: ma basteranno, da sole, a sopperire al fabbisogno energetico? Si potrà raggiungere l’autonomia energetica solamente sfruttando sole e vento?
Se in generale il quesito non è di così semplice risposta, nell’ambito “edilizio” invece le cose sono ben chiare ed esiste già chi, con i fatti, ha dimostrato la possibilità di rispondere affermativamente alle domande precedenti.

Negli anni ’90 in Austria alcuni progettisti pensarono che fosse possibile costruire edifici che producessero più energia di quanta ne consumassero: nacquero così le “PlusEnergieHaus”, una categoria di edifici che va oltre le “PassivHaus” (che consumano meno di 15 kWh/mq anno) o le “Zero Energy House” (edifici a bilancio energetico nullo).

Un esempio (oramai famoso in Europa, anche se poco conosciuto in Italia) di tale approccio è l’edificio Gemini, progettato dall’ing. Erwin Kaltenegger, e realizzato nella città di Weiz, in Austria.

Il progetto nasce nel 1993 da un sodalizio dell’ing. Kaltenegger con un programmatore informatico, Roland Mosl, il quale, anni prima, aveva ideato un tecnologico corpo di fabbrica girevole che ottimizzava così gli apporti energetici esterni. Alla fine degli anni ’90 il progetto fu ripreso in occasione di un’esposizione nazionale e l’amministrazione di Weiz decise di finanziarne la costruzione; ultimato in soli 7 mesi, l’edificio ha avuto dapprima un carattere esclusivamente espositivo, mentre in seguito è divenuto una vera e propria dimora per una famiglia austriaca.

Da un punto di vista energetico l’edificio si presenta innanzitutto con un ottimo fattore di forma (bassa superficie disperdente in relazione al volume racchiuso) dato dalla geometria cilindrica; si distingue per la forte coibentazione dell’involucro e per il massiccio ricorso ad elementi tecnologici per la produzione di energia solare termica e fotovoltaica (che ne caratterizzano l’aspetto). A questo guscio tecnologico si contrappone un’anima totalmente naturale: la struttura è interamente realizzata in legno, gli isolanti sono di origine naturale, pareti, scale e pavimenti sono in legno lavorato da artigiani locali.

Le pareti esterne sono spesse circa 55 cm ed hanno un valore di trasmittanza pari a 0,11 W/mq °K, i solai hanno spessore di 35 cm e valori di trasmittanza di 0,08 W/mq °K, mentre i serramenti si attestano intorno a 0,5 W/mq °k (che diventano 0,3 W/mq °K con le schermature chiuse). Il comportamento energetico della facciata è completamente automatizzato al fine di ottimizzare gli apporti energetici esterni; lo stesso vale per i pannelli fotovoltaici, sia quelli in facciata, utilizzati anche come schermature solari, sia quelli posti in copertura. Il residuo fabbisogno energetico per il riscaldamento (circa 15,2 kWh/mq °K) è soddisfatto da una pompa di calore geotermica, collegata all’impianto di ventilazione e che in estate funziona come impianto di raffrescamento.

Come già accennato, in copertura sono presenti pannelli solari termici, per la produzione di acqua calda sanitaria, ed un impianto fotovoltaico da circa 2,7 kWp che, in sinergia con il fotovoltaico in facciata, permette di produrre annualmente circa 8.500 kWh; da notare che su tale produzione elettrica, ben 5.000 kWh vengono immessi in rete in quanto eccedenti rispetto al fabbisogno della struttura.

Il progetto ha un carattere decisamente sperimentale e dimostrativo, con un’estremizzazione tecnologica che non è stata gradita da tutti ed un aspetto architettonico che ha fatto storcere il naso ai puristi dell’architettura; è innegabile però la sua valenza innovativa, che gli ha permesso di collocarsi come il capostipite di una nuova era di edifici che ad oggi vanta numerosi esempi in ogni parte del globo.

Fonte: rinnovabili.it - Articolo di Giacomo Di Nora

 

 
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