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La motivazione al lavoro

 

Se avessimo il dono dell’invisibilità e potessimo intrufolarci in un ufficio qualunque negli orari di lavoro, scopriremmo molte cose interessanti circa le differenze che intercorrono tra gli impiegati e il loro stimolo all’impegno lavorativo.
Ad una attenta analisi, infatti, verremmo sicuramente colpiti da due categorie di lavoratori: quello che sin da subito salterebbe ai nostri occhi è il classico lavoratore che, nello svolgimento delle sue mansioni, tende ad applicarsi il meno possibile, a fare il minimo indispensabile e ad agire con il minimo interesse verso il suo lavoro. Si tratta appunto dell’impiegato con cui ognuno di noi ha avuto a che fare nella vita, allo sportello delle poste o in un negozio qualunque: dal suo volto non traspare alcun interesse verso il lavoro che svolge, meccanicamente e senza alcuno sforzo eccessivo, risponde seccamente alle nostre domande e guarda continuamente l’orologio.
Dall’altro lato, però, nonostante siano casi molto più rari, riusciremmo, in un angolino, a scovare il lavoratore ambizioso, mosso da voglia di fare e che rispetta sempre gli orari di apertura dell’ufficio, soffermandosi anche quando necessario a svolgere dello straordinario e ad occuparsi anche delle mansioni altrui. Si tratta dell’operatore telefonico gentile e cortese che segue la nostra pratica con interesse, o del negoziante che si impegna per soddisfare i nostri difficili gusti senza perdere la pazienza, o ancora dell’impiegato in un ufficio che risponde alle nostre domande senza mostrare segni di cedimento o di scarsa motivazione.
Come possiamo quindi facilmente immaginare, la differenza che intercorre tra i due casi è appunto lo stimolo, la motivazione al lavoro che manca – o è insufficiente – nel primo caso ed è invece presente nel secondo.
Il primo esempio che abbiamo portato avanti, infatti, ci fa capire come esistano dei lavoratori che, con molta probabilità, non amano il proprio lavoro e tendono a svolgerlo nella maniera più semplice possibile: sono quegli impiegati che, una volta occupato il posto di lavoro, sono convinti che non servano un reale impegno o un profondo sacrificio, ma che ciò che fanno sia sufficiente a mantenere la propria posizione economica.
Essi mancano, in sostanza, di motivazione, laddove per motivazione intendiamo l’insieme degli scopi che spingono un individuo ad agire ed a mettere in atto un comportamento in direzione degli obiettivi da raggiungere.
Una persona naturalmente motivata al lavoro, può esserlo certamente per diversi scopi: da un lato, forse il primo obiettivo che stimola e rende concreto l’impegno di un lavoratore è dato dal riscontro economico. E’ inutile dire che, soprattutto in momenti di grave crisi finanziaria, il fatto di avere un lavoro remunerato e sicuro è per molti motivo di stimolo ad impegnarsi sempre di più. Ma non è sempre così: in una situazione in cui il lavoro fisso – quello a tempo indeterminato, per intenderci – viene visto come àncora di salvezza, come porto sicuro di fronte alle difficoltà della società, il lavoratore può sentirsi in un certo senso “arrivato” e non sentire più il bisogno di impegnarsi al massimo per mantenere la sua posizione lavorativa.
Viceversa, un impiegato che lavori con un contratto a termine, un contratto a progetto o a tempo determinato, sa che le sue aspettative saranno soddisfatte solo con il suo impegno e la sua motivazione: in questo caso, quindi, lo stimolo al lavoro ed al sacrificio non è del tutto disinteressato, ma motivato ad una posizione lavorativa ed economica sicura.
Per questo motivo, pertanto, diremo che la motivazione al lavoro non è una caratteristica oggettiva, ma una condizione soggettiva che può dipendere da diversi fattori: uno di questi, come abbiamo detto, è il denaro. In un contesto sociale in cui si è in un certo senso vinti dal consumismo e dalle necessità di provvedere al proprio fabbisogno o di mantenere una famiglia, è logico pensare che ci sia il reale bisogno di lavorare e di produrre del denaro. Pensare però che tutto dipenda solo da questo – o dalla conseguente esigenza di mantenere saldo il proprio posto di lavoro – sarebbe alquanto riduttivo: ci sono molte persone che provano un senso di soddisfazione dalla realizzazione dei propri progetti e che sentono quindi l’esigenza di rispondere a delle esigenze psicologiche e mentali, persone che amano il proprio lavoro e questo basta loro a fornire il giusto stimolo all’impegno.
Concludendo, possiamo affermare che la motivazione al lavoro è definibile come un bilancio tra gli aspetti positivi e gli aspetti negativi della propria professione.

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